Solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno

Il 21 dicembre 2013, data del Solstizio d’inverno, è la notte più lunga dell’anno. L’oscurità sembra prendere il sopravvento e con essa lo sconforto. Tuttavia il buio è necessario per (ri)conoscere la luce. E infatti dal 22 dicembre, passata la notte più lunga, i dì cominceranno ad allungarsi piano piano fino al trionfo pieno della luce che sarà celebrato con il Solstizio d’estate, a giugno. Il culto del sole, e della luce in generale, è antichissimo e si ritrova in diverse culture e civiltà.
I romani festeggiavano i Saturnalia a dicembre, con tantissime candele a illuminare i luoghi in cui si svolgevano i festeggiamenti. Era una festa vera e propria, con banchetti e travestimenti. Il trionfo della vivacità. Fu Aureliano a introdurre la festa del Dies Natalis Solis Invicti.
Le origini del culto legato al sole si perdono nella notte dei tempi. L’uomo ha iniziato a celebrare il sole quando ha capito che anche nel giorno in cui le tenebre sembravano più lunghe, il dì sarebbe comunque arrivato con i suoi potenti raggi e così il Solstizio è diventato simbolo della speranza della rinascita.
Nel primo giorno del calendario persiano si festeggia Yalda. Secondo la mitologia iraniana, Mithra, l’angelo di luce e di verità è nato alla fine di questa notte dopo aver sconfitto le tenebre. È evidente dunque il messaggio di speranza che offre l’interpretazione della vittoria della luce sulle tenebre. La rinascita assume così un valore propiziatorio e simbolico. Magico.
In Egitto, il dies Natalis Solis Invicti coincideva con la nascita di Horus. La statua di Iside con un bambino attaccato al seno, che anticipa l’effigie della Madonna venerata dal cristianesimo, veniva portata in processione nei campi illuminati dalle torce. In quella antica civiltà si celebrava inoltre il dio Ra, ovvero il dio sole.
In Scandinavia nel giorno del Solstizio si accendevano i fuochi, a simboleggiare l’aspetto vivificante e il calore emanato.
In Gran Bretagna, le pietre di Stonehenge conservano tuttora, a distanza di millenni, un fascino particolare legato all’astronomia e in occasione dei Solstizi sono centinaia le persone che si raduno attorno al luogo sacro aspettando la nascita del sole.
Prima dell’avvento del cristianesimo, i riti pagani erano molto sentiti e la festa del Solis Invicti celebrava il trionfo della luce sulle tenebre. L’importanza di questo concetto è stato mutuato dalla religione cristiana al punto che Gesù, la cui nascita (Natale) è collocata in questo periodo, è definito “Luce del mondo” e la vittoria del bene sul male viene dipinta come la supremazia della luce sopra l’oscurità.
Se guardiamo alle stagioni, il Solstizio di dicembre, quello dalla notte più lunga, cade in inverno e cioè quando la natura è spoglia. Sarà l’avvento del sole e delle giornate più calde a favorire la rinascita della vita con la crescita dei germogli e il rinverdimento delle foglie sugli alberi. Arriverà la primavera.
Il ciclo buio-giorno viene spesso associato al concetto morte-rinascita. È necessario fare buio nel proprio io interiore per potere accogliere la luce che inizia a irradiarsi dopo avere attraversato l’iter di purificazione.
Elemento molto vicino al sole è il fuoco. Le fiamme illuminano e riscaldano allo stesso tempo. I falò e le candele messe al centro di tutte le feste pagane (e successivamente cristiane) riconoscono in quei rituali un’azione purificatrice del fuoco. Notte e giorno, oscurità e luce ricordano la dicotomia bene-male che nel mondo orientale sono rappresentate da Yin e Yang. L’eterna lotta non finirà mai. L’importante è che dopo il buio e la notte, il giorno riaffiori sempre per portare la luce.

Dal voto di scambio alla circonvenzione di (elettore) incapace

La commissione giustizia del Senato ha licenziato il nuovo articolo del codice penale 416 ter (voto di scambio) inasprendo le pene da 7 a 12 anni (anziché da 4 a 10 anni indicate dal testo precedente votato alla Camera). Sarà punito anche chi si mette a disposizione di un’organizzazione mafiosa, come il magistrato Giovanni Falcone aveva suggerito già decenni fa e stranamente dimenticata. Questa piccola dicitura aumenta di parecchio la possibilità di configurare il reato di voto di scambio, nonostante il voto contrario di Forza Italia (di nuovo questa storia del reato di concorso esterno in associazione mafiosa che non è tipizzato ma ha “solo” –hai detto niente- natura giurisprudenziale). Era ora che si facesse qualcosa ma l’iter non è concluso. Manca il passaggio in aula al Senato.
La nuova norma dice: «Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità ovvero in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione è punito con la stessa pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416-bis. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma».

A proposito di rapporti tra politica e cittadini, c’è una cosa che però manca ancora. Giustissimo punire chi cerca i voti di mafiosi, ‘ndranghetisti, camorristi. Ma chi punisce i politici che fanno false promesse ai cittadini, ai disoccupati, agli anziani per prendere il loro voto e abbandonarli subito dopo? Il reato potrebbe chiamarsi “frode all’elettorato” o configurarsi come un reato di “falsa promessa a fini elettorali”. Oppure “circonvenzione di elettore (incapace)”. Sì, propendo per quest’ultimo. Hai voglia quante nuove carceri dovrebbero costruire se questo reato esistesse davvero!

Questo Nano nun me convince ppe gnente

L’antefatto ormai è noto. Antonino Lo Giudice, Nino per gli amici di Reggio Calabria, prima si pente, fa arrestare i suoi familiari per associazione mafiosa e si autoaccusa dell’attentato alla procura generale di Reggio Calabria esplosa il 3 gennaio 2010. Poi scompare a giugno 2013 e fa pervenire due memoriali in cui ritratta le dichiarazioni e accusa i gestori della sua collaborazione con la giustizia di averlo spinto a parlare di argomenti e fare nomi di persone che non conosce. A novembre viene riacciuffato dalla squadra mobile a Reggio Calabria e davanti a magistrati di Reggio Calabria e Catanzaro racconta come ha fatto a scappare dalla località protetta dove stava scontando una condanna agli arresti domiciliari, a Macerata.
Parere personalissimo: anche questa volta la verità mi pare abbastanza lontana. Il suo racconto sembra quasi fantastico, concepito da una mente che -delle due l’una- o non arriva a legare logicamente elementi e sequenze rendendola credibile, oppure sa fin troppo bene che magistrati e investigatori abituati a ragionare abbastanza più alto si accorgono subito che sta dicendo un sacco di fesserie (quindi raggiunge il suo scopo).
La storia che Nino Lo Giudice ha raccontato è di “un mese, forse due” trascorso a Pietrelcina, dove è arrivato in treno, a casa di un certo Giovanni. Un tipo anziano, “quasi cieco, anzi miope”, individuato semplicemente osservandolo in piazza. Lo Giudice avrebbe intuito subito, come colto da una folgorazione, che quell’uomo lo avrebbe aiutato. Ora, Pietrelcina sarà pure un luogo santo per aver dato i natali a Padre Pio, ma che questo signore anziano abbia ospitato per “un mese, forse due” (ma insomma, era un mese o due?) il buon Nino senza preoccuparsi, e pure facendolo mangiare gratis, sembra strano persino al più puro di cuore. Altra piccola incongruenza: nel verbale d’interrogatorio inizialmente era stato scritto anche di un’altra persona indicata da Lo Giudice come un secondo soggetto presso il quale avrebbe trovato rifugio e della quale non ricordava il nome. Invece alla rilettura del verbale, l’ex pentito ha voluto precisare di non avere avuto altri appoggi.
Quanto ai memoriali, Nino Lo Giudice ha confermato di averli redatti di suo pugno. Tuttavia si è pure affrettato a precisare che non aveva usato il computer sequestrato a Vito, nell’appartamento in cui è stato arrestato. Il pc usato, ha dichiarato, lo ha distrutto. Così come ha distrutto la stampante usata per confezionare le copie distribuite ai suoi obiettivi. Non voleva portarsi quel peso dietro quando, a ridosso d Ferragosto, è rientrato a Reggio Calabra. Dunque non ci sono elementi che possano far risalire allo strumento usato per confezionare i memoriali. Ma che combinazione!
Nel nuovo verbale l’ex pentito fa un passo e mezzo indietro. Per intero, sulla posizione del procuratore generale Salvatore Di Landro, che aveva invitato “a dire la verità” in un suo precedente memoriale. Oggi Lo Giudice precisa che semplicemente aveva pensato che il magistrato fosse a conoscenza, era una sua idea non fondata da elementi. Mezzo passo indietro, invece, quando conferma di disconoscere la paternità degli attentati in procura ma afferma di essere stato costretto ad autoaccusarsi perché indotto dall’ex capo della squadra mobile reggina, il quale gli aveva prospettato la possibilità di entrare nel regime di protezione solo a condizione che parlasse di quell’argomento. Tuttavia, senza suggerire cosa dire.
Questo nano nun me convince ppe gnente. A parte la difficoltà a seguirlo nel ragionamento e negli spostamenti fino a Reggio Calabria, c’è una serie di incongruenze che lasciano molto da pensare e analizzare.
Ho l’impressione che sia un ritorno a orologeria per raffreddare i toni degli ultimi tempi, allontanare sospetti da una parte e mandare messaggi a chi sa leggere tra le righe. Che ci sia una manina invisibile che lo tira per la giacca? E a quale scopo? Confusione, forse. Temo che sia la solita strategia usata dalla regia nascosta per alzare polvere e far socchiudere gli occhi a chi ne rimane infastidito.

L’antimafia a parole e il silenzio di chi lavora

Più leggo le carte giudiziarie che riguardano Rosy Canale e più mi schifo. Proprio lei che la sera prima a Cosenza aveva fatto piangere tre quarti di teatro con la sua storia di resistenza alle mafie, il giorno dopo viene arrestata per truffa. L’operazione eseguita dai Carabinieri si chiama “Inganno”. Mai nome fu più azzeccato. Quando arrivano i soldi che dovevano servire ai progetti dedicati alle donne di San Luca è tutta contenta. Telefona alla figlia e ai genitori, li informa di avere già speso quei soldi. Sì, ma non per finalità benefiche. Tutt’altro. Per comprare vestiti e beni destinati proprio ai suoi familiari. “Ma non sono soldi tuoi”, la rimprovera la madre. “Me ne fotto”, dice Rosy Canale. E la figlia le chiede una borsa Louis Vuitton o quella a marca Fendi da 450 euro che ha già visto. Per la cocca di mamma, che cresce a pane e antimafia di facciata, evidentemente, viene persino comprata una minicar con il denaro pubblico. Un’altra macchina Rosy Canale la compra per sé. Intestata al movimento Donne di San Luca, ovviamente. Ma utilizzata per scopi personali. La malafede ci sta tutta se allegramente ammette di essersi fatta fare un contratto di noleggio, forse per non destare sospetti. A mettere le mani sui conti è sempre lei. Per calmare le donne di San Luca, che avevano visto in Rosy Canale l’occasione per scrollarsi di dosso l’immagine di guerra e morte appiccicata loro dai cognomi Pelle, Nirta, Strangio, Vottari, concede loro il contentino di qualche migliaio di euro. Regalato e percepito come compenso… di cosa?
La ludoteca che era sorta nel paesino aspro montano, con tanto di inaugurazione in pompa magna, è stata chiusa dopo poco tempo. Per mancanza di fondi. Eppure erano arrivati 160mila euro, tutti gestiti dalla signora Canale. Una beffa anche il laboratorio artigianale per produrre il sapone. L’intraprendente imprenditrice reggina aveva preso accordi per comprarlo all’ingrosso già confezionato e rivenderlo. Lei stessa si è fatta carico di partecipare a una fiera, portandosi saggiamente dietro la foto che la ritraeva con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Bastavano poche parole chiave come antimafia, San Luca, Strage di Duisburg per ammorbidire i suoi interlocutori e una saponetta costata pochi centesimi andava via per cinque euro come niente. Oltre tremila euro di incassi. Ma al telefono, alle donne di San Luca, Rosy Canale raccontava che era stato difficilissimo vendere le saponette, che era riuscita a malapena a incassare ottocento euro e addirittura ci aveva rimesso le spese di viaggio. Questi pochi episodi la dicono lunga sul suo carattere. Tralasciando di quando sperava di incontrare l’allora ministro Giorgia Meloni (che le aveva concesso un contributo di cinquemila euro) per fare presa anche su di lei e farle dare un impiego retribuito al Ministero.
Nei giorni immediatamente successivi all’arresto di Rosy Canale, numerosissimi sono stati i commenti sul grande inganno. Molti, manco a dirlo, sono arrivati dal mondo dell’antimafia “ufficiale”. Come se ci fossero etichette nella resistenza all’illegalità diffusa. Anche quelli mi fanno schifo. Quelli che hanno avuto l’ardire di parlare pur percependo anche loro soldi pubblici per le famose manifestazioni nelle scuole, in piazza, persino sugli sci in settimana bianca. Invece non ho sentito una sola parola da chi combatte seriamente, quotidianamente e in silenzio il malaffare e non ha freddo pur tenendo sempre arrotolate le maniche perché il lavoro è continuo. La vera antimafia da campo non si lascia in inutili commenti contro qualcuno. Ho sempre sentito parlare quella antimafia solo “per”, mai “contro”. Per fare proposte, per chiedere aiuto, per invocare un sostegno vero alle proprie attività. E’ così che si combatte l’illegalità. Dando l’immagine positiva del lavoro, perché solo in questo modo i ragazzi di oggi acquisiranno il valore del fare legale che li renderà liberi domani.

Educazione dei figli (Sant’Ambrogio)

Ho sempre ritenuto questo scritto di Sant’Ambrogio uno dei più illuminati e illuminanti che abbia mai letto.

L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l’affetto necessario.
Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri.
Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.
Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro; siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio anche quando sembrerà che si dimentichino di voi.
Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande, non siate voi la zavorra che impedisce di volare.
Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna, e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è insopportabile una vita vissuta per niente.
Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere.
E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato: e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.
I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene.

S. Ambrogio – Vescovo di Milano – IV secolo dopo Cristo